martedì 19 maggio 2009

"Chi se l'è scelta" - di Fausto Tanzarella


“Va bene chi c’è nato, ma te che venendo da fuori potevi scegliere tra dicassette, sei andato a finire proprio lì. . .?”. Quante volte ho ascoltato questo ritornello…Un’infinità, anche se la mia attesa è stata un po’ meno lunga di quella dei torraioli nati sulle lastre. Solo (solo?) trentacinque anni, invece che quarantaquattro.
Perché la Torre? Ammetto che il mio percorso verso Salicotto è stato atipico. In genere chi viene a Siena da fuori si innamora della prima contrada che vede vincere, o di quella dove va ad abitare, finendo per familiarizzare con la gente. Per me non è valsa nessuna di queste circostanze. Possiamo parlare di amore a prima vista. Sì certo, qualche amico torraiolo che mi ha instradato c’è pure stato, come c’è stato il mio quasi star di casa, da studente, nella trattoria, guarda caso, “La Torre” di Alberto, con i dopo-cena che spesso proseguivano bevendo qualcosa nella società dell’Elefante. Ma soprattutto si è trattato di una naturale, spontanea affinità elettiva, che nel tempo ha coinvolto mia moglie, i miei figli, entrambi battezzati in contrada. Amore per i colori, simpatia per la gente, quella sensazione intima e calda, di casa, di famiglia che sempre si respira in Salicotto. Sarà una sensazione tutta mia, ma nel centro di Siena ci sono vie dove, se ci passi d’inverno, sei semplicemente uno che passa per la via, come entri in Salicotto, non puoi sbagliarti: sei in contrada. E più il tempo passava, più la contrada non vinceva e più questo amore cresceva, in un senso di appartenenza e di solidarietà contro una sorte avara ed ingiusta.
Quante volte amici spocchiosi per le molte vittorie delle loro contrade, che pure non erano né Oca, né Onda, mi hanno stuzzicato: “I tuoi figlioli stanno crescendo senza aver mai visto vincere un Palio” oppure “Che famiglia di ripurgati per elezione…”. Ed erano senesi e contradaioli, pure incapaci di comprendere che la contrada non è un cavallo su cui puntare o un biglietto della lotteria, ma un modo d’essere, uno stato d’animo: è il tuo destino.
Credo che la grandezza del popolo di una contrada si misura e si comprende proprio nella straordinaria capacità di elaborare e superare l’amarezza, l’avvilimento che la mancanza del successo inevitabilmente produce. Lo ha insegnato il Bruco, lo ha insegnato la Torre. Ricordo una sera di agosto di tanti anni fa: pochi giorni dopo l’ennesima delusione in piazza, mi capitò di passare in contrada e vi trovai un bel gruppo di ragazzi raccolti intorno a un pianoforte a cantare il nostro inno; erano con me alcuni amici di altre contrade che rimasero a bocca aperta, forse si aspettavano di trovare gente in lutto. Io sorrisi, non potevano capire…
Ora abbiamo vinto! Non siamo né migliori, né peggiori di prima. Ma nessuno può più “coglionare” la Torre, i miei figli hanno avuto il loro Palio, la mia “breve” attesa di trentacinque anni è terminata e la gioia per questa vittoria è più profonda, completa e diversa di quella che qualsiasi altro “contradaiolo raccattato” potrà mai provare.

1 commento:

Berio ha detto...

Pubblico volentieri questa bella testimonianza di Fausto Tanzarella, che ci ha dato gentilmente l'autorizzazione a pubblicare. Fausto Tanzarella è l'autore del libro "I giorni del corvo" che vi consiglio di leggere.