venerdì 4 settembre 2009

4 SETTEMBRE 1260


La lega guelfa comprendeva, oltre a Firenze, Bologna, Prato, Lucca, Orvieto, San Gimignano, San Miniato, Volterra e Colle Val d'Elsa. Il suo esercito si muove di nuovo verso Siena, con la giustificazione della necessità di riconquistare Montepulciano e Montalcino. Per quanto consigliati altrimenti da Tegghiaio Aldobrandi degli Adimari, i comandanti fecero passare l'esercito alle porte di Siena anche perché desiderosi di rivalsa dopo la scaramuccia di maggio e si accampano nelle vicinanze del fiume Arbia, a Montaperti, il 2 settembre 1260. In tale giorno gli ambasciatori guelfi consegnarono un ultimatum al Consiglio dei Ventiquattro, il governo di Siena, che fu respinto, seppure con qualche incertezza di una parte favorevole alla trattativa.
Per meglio motivare i cavalieri tedeschi, fu deliberato di corrispondergli una doppia paga grazie ai fondi forniti da Salimbene de' Salimbeni (la cui famiglia fonderà nel 1472 la banca Monte dei Paschi). Le cronache indicano in trentamila fanti e tremila cavalieri le forze della lega guelfa.
Le forze ghibelline ammontavano a ventimila unità, composte da ottomila fanti senesi, tremila pisani e duemila fanti di re Manfredi. A loro, si aggiungevano i fuorusciti fiorentini, i cortonesi, i ternani, i santafioresi ed i bonizzesi - nonostante in quel momento Poggiobonizio (la futura "Poggibonsi") fosse occupato dai fiorentini - e i cavalieri tedeschi.
Nello stesso giorno, la città, in solenne processione guidata da Buonaguida Lucari, fu dedicata alla Madonna in cambio della sua protezione durante la battaglia. A quel tempo, nella Cattedrale di Siena era conservata sull'altare maggiore la Madonna dagli Occhi Grossi, attualmente esposta presso il Museo dell'Opera del Duomo a Siena.
Il 3 settembre l'esercito senese-ghibellino guidato da Provenzano Salvani uscì da Porta Pispini, diretto al Poggio delle Ropole (l'odierno paese di Taverne d'Arbia), in prossimità dell'accampamento guelfo, che si era spostato nel frattempo sul Poggio delle Cortine da dove poteva controllare i movimenti dei ghibellini. Una leggenda narra che i senesi fecero sfilare il proprio esercito per tre volte davanti all'esercito guelfo, cambiando ogni volta i vestiti con i colori dei terzi di Siena cercando di far credere che le proprie forze fossero tre volte più numerose di quello che fossero in realtà.
La mattina del 4 settembre l'esercito ghibellino, superato il fiume Arbia, si prepara alla battaglia. Era formato da quattro divisioni, che si posizionarono sul campo di battaglia così da tentare una manovra d'accerchiamento.
La prima divisione, guidata dal conte d'Arras, doveva attaccare i guelfi alle spalle al grido d'invocazione di San Giorgio. La seconda, guidata dal conte Giordano d'Anglano, e la terza, guidata da Aldobrandino Aldobrandeschi di Santa Fiora, dovevano impegnare frontalmente l'esercito guelfo, nonostante il sole contrario e la pendenza del terreno. La quarta, comandata da Niccolò da Bigozzi, era posta a guardia del carroccio senese.
Un'altra delle leggende relative alla battaglia, ricorda la figura del cavaliere tedesco Gualtieri d'Astimbergh il quale, avendo il privilegio di attaccare per primo, dopo essersi avvicinato lentamente ai nemici, caricò lancia in resta il capitano dei lucchesi che fu trapassato da parte a parte. Dopo aver recuperato la lancia, uccise altri due cavalieri e poi, persa l'arma, si fece largo tra i nemici con la spada. Nelle prime fasi della battaglia, non solo i fanti guelfi ressero ai primi attacchi dei ghibellini, ma contrattaccarono a loro volta. Questo spinse la quarta divisione di Niccolò da Bigozzi a contravvenire agli ordini e intervenire lasciando la difesa del carroccio senese.
Dopo alterne fasi della battaglia, verso il pomeriggio partì un contrattacco dei ghibellino-senesi.
È in questa fase che si verificò l'episodio di Bocca degli Abati. Questi, seppure al fianco dei guelfi fiorentini a causa di complicati interessi e alleanze, era in realtà di parte ghibellina. Alla vista del contrattacco senese, Bocca si avvicinò al portastendardo fiorentino Jacopo de' Pazzi e gli tranciò di netto la mano che reggeva l'insegna. Questo causò un notevole sconcerto tra le file guelfe. Su quanto questo episodio sia stato importante per l'esito della battaglia, ci sono da secoli opinioni controverse.
Oltre a questo episodio, in questa fase dalle file ghibelline si alzò l'invocazione a San Giorgio, segnale per la prima divisione, quella del conte d'Arras, che attaccò i fiorentini alle spalle. Il conte stesso uccise il comandante generale dei fiorentini Iacopino Rangoni da Modena. È a questo l'inizio della rotta dei guelfo-fiorentini. I ghibellini si lanciarono all'inseguimento e iniziarono "lo strazio e 'l grande scempio che fece l'Arbia colorata in rosso" (Dante, Divina Commedia, Inferno, Canto X, 85) durato fino all'arrivo della notte. Si calcola che le perdite siano ammontate a diecimila morti e quindicimila prigionieri in campo guelfo, di cui 2500 e 1500 fiorentini, e 600 morti e 400 feriti in campo ghibellino.
Solo al calare della notte i comandanti ghibellini diedero l'ordine di salvare la vita di chi si fosse arreso, uccidendo comunque tutti i fiorentini che fossero stati catturati. Questi ultimi, uditi i comandi della parte avversa, cancellarono dai vestiti i segni di riconoscimento e si mescolarono ai loro alleati per aver salva la vita.
Ancora una leggenda racconta della vivandiera Usilia che, da sola, catturò 36 fiorentini salvandogli allo stesso tempo la vita. Il sacco al campo guelfo permise ai ghibellini di catturare quasi diciottomila animali tra cavalli, buoi e animali da soma.
Le bandiere e gli stendardi dei fiorentini furono presi e lo stesso gonfalone di Firenze fu attaccato alla coda di un asino e trascinato nella polvere.
« Lo strazio e 'l grande scempio
che fece l'Arbia colorata in rosso,tal orazion fa far nel nostro tempio. »
(Inferno X, 85)

1 commento:

wasp ha detto...

ottimo jacopo!