mercoledì 30 settembre 2009

Primo Torneo di Golf "Il Fazzoletto"

Lo scorso 19 settembre si è svolto a Punta Ala il primo torneo di Golf tra Contrade: HA VINTO LA TORRE !!! Seconda l' Oca, terza l' Onda...
Ieri sera all'ottima cena a base di pesce in società c'era la "squadra" al completo ed è stata consegnata la coppa al Presidente dell'Elefante affinchè possa essere esposta dove tutti i contradaioli possano vederla. Congratulazioni ai golfisti torraioli e Viva la Torre sempre !!!

martedì 29 settembre 2009

Il sogno del Medioevo

Nell'ambito delle celebrazioni per i settecento anni del Costituto Senese, al Santa Maria della Scala é stata inaugurata sabato scorso (26 settembre) l’esposizione “Il sogno del Medioevo”, curata da Mauro Civai ed Enrico Toti. In questa occasione verranno presentate, in una suggestiva esposizione, dodici bandiere delle Contrade appositamente restaurate, provenienti dal Museo Stibbert di Firenze. Nella stessa occasione verrà presentato anche il documentario “Dietro la bandiera” realizzato da Massimo Reale.
Si tratta di un importante recupero di testimonianze che riguardano sia il Palio che le diciassette comunità cittadine. Le bandiere esposte presentano interessanti elementi iconografici sia nel disegno che nella foggia. Il minuzioso e accurato restauro, diretto da Mary Westerman Bulgarella, è durato oltre tre anni ed è stato sostenuto dalla Fondazione Monte dei Paschi.
Le bandiere sono parte dalla collezione di Frederick Stibbert che il 20 aprile 1884 acquistò dal negoziante Gaetano Basetti diciassette “stendardi in seta”. Dodici vennero sistemate al centro del soffitto di una sala della villa denominata “delle bandiere”. Si trattava di quelle delle contrade della Civetta, del Drago, della Giraffa, dell’Istrice, del Leocorno, della Lupa, del Nicchio, dell’Oca, dell’Onda, della Pantera, della Tartuca e del Valdimontone. Nonostante le accurate ricerche effettuate nel museo Stibbert non sono state ancora rintracciate quelle dell’Aquila, del Bruco, della Chiocciola, della Selva e della Torre.
Alcune recano la data di esecuzione come quelle della Pantera (1826), della Giraffa (1828) e dell’Oca (1859), oltre alle iniziali o i nomi degli autori. Ad esempio, quella della Giraffa reca la firma “Maria Bartoli cucì”.
Le bandiere originali sono state sostituite nella sala del museo con fedeli riproduzioni in seta, realizzate da una ditta specializzata olandese, e adesso potranno finalmente essere ammirate da senesi e visitatori come una sorta di anticipazione del futuro museo del Palio.
Sempre al Santa Maria della Scala, nella suggestiva atmosfera del Chiasso di Sant’Ansano, continua l’esposizione dei carrocci del Corteo storico del Palio. In particolare è possibile ammirare quello progettato nel 1928 dal pittore Ricciardo Meacci, una sorta di carro di trionfo arricchito da cinque pannelli laterali sui quali il celebre “pittore di quadri antichi” Icilio Federigo Ioni dipinse le diciassette Contrade attraverso graziose allegorie degne di un miniatore antico.
E’ inoltre esposto un carroccio della metà dell’Ottocento, sulla quale è stata tra l’altro posta la riproduzione dello stendardo di Monteaperti, nel quale oltre alla Vergine recava la scritta “SENA VETUS CIVITAS VIRGINIS, ALPHA ET OMEGA, PRINCIPIUM ET FINIS”. Per secoli il grande stendardo di seta bianca era stato conservato al Santa Maria della Scala, ma fu trafugato nella seconda metà del Settecento.

lunedì 28 settembre 2009

Il sogno del Medioevo

Martedì 13 ottobre ore 18.00 visita guidata “ Il Sogno del Medioevo. Le Bandiere delle Contrade del Museo Stibbert e i carri trionfali del corteo storico del Palio”.
Mauro Civai, direttore del Museo Civico e curatore della mostra, illustrerà la visita. Ritrovo ore 17.50 in Piazza della Selva.
La visita è gratuita, segnarsi in Società.
Per informazioni contattare Monica Guazzi.

giovedì 17 settembre 2009

Lavori in corso

Allo scopo di migliorare la grafica ed i contenuti, in questi giorni stiamo facendo delle "prove tecniche di trasmissione" per rendere il blog sempre più "bello" e più interessante... Grazie a tutti coloro che partecipano e a tutti coloro che leggono...

mercoledì 16 settembre 2009

martedì 15 settembre 2009

La Luna e il buio, il sole e la torre


Il sole attende dietro una striscia di terra, poco prima aveva infiammato il cielo e la terra. A vedere tutto questo buio chi l’avrebbe mai detto che fino a poco fa la terra era in fiamme? Come un sogno ardente portato da Morfeo, come un soffio di vento caldo, come un abbraccio nel pianto. Cammini nell’unica striscia che rimane, mentre il sole muore. Nuoti nell’ultimo raggio tiepido che dipinge con due pennellate il tetto del mondo, due pennellate veloci di rosso o di lilla. Io l’ho visto dal mare, immerso nell’acqua, abbracciato ad un sogno. Alle mie spalle c’era il buio e la luna, davanti a me la torre ed il sole che salutava ogni essere vivente con ghirigori nel cielo. Dopo aver divampato, brillato, bruciato eccolo spegnersi lentamente, con regalità ed eleganza lasciando spazio al buio lasciando spazio ai pensieri. Snidati nell’animo, svegliati dalle stelle eccoli emergere come piccole lucciole. I pensieri fanno casa nella notte, squarciano il buio perché conoscono i nomi delle stelle. Piano vi si aggrappano e costruiscono castelli di carte con cui poi il mattino giocherà ridendo, le disfarrà e riordinerà il mazzo. Il mare suona la sua melodia, la risacca conta i passi del cuore e la mente fatica a stargli dietro. Che peso hanno gli incubi? Scarabocchi su una lavagna magica che sempre il sole cancellerà, domani non ne avrai più traccia. Compro un sogno e lo metto tra scontrini scoloriti nel portafogli, lo compro di notte ma questa volta il giorno complice lo completerà con dettagli di fuoco. Imprimerà i suoi raggi sulle mille strade ed i volti, colorerà le case ed i boschi e forse domani potrò sentirne perfino il sapore. Due note sul pianoforte, compongono una melodia. Da una parte la luna ed il buio dall’altra il sole e la torre. Guardo queste piccole mani, due lacrime mi rigano il volto stanco, per il lavoro e per la gioia. Nessuna strada è facile, che sia la luna ad illuminare i miei passi o che sia infuocata dai dardi dell’astro più luminoso. Nessuna strada è troppo difficile, in salita, scoscesa se ho la luna sul mio collo ed il sole in un altro. Come il sole e come la luna inizio il mio viaggio ogni notte, ricomincio da qui, tutte le notti uguale tutte le notti diverso. Il sole attende dietro un pezzo di terra, poco prima aveva infiammato il cielo e la terra. Mi alzo da terra, mi tolgo la polvere dai pantaloni e riparto. Non c’è requie per la fantasia, non c’è strada finita per la vita, non c’è morte per i sogni.

giovedì 10 settembre 2009

Festa dei Tabernacoli


Ecco la foto del nostro tabernacolo. L'argomento che è stato rappresentato è: cosa vorresti che facesse il Sindaco o quale legge vuoi che venga fatta. Ovviamente al primo posto c'erano tutte le leggi che mettevano in risalto la Torre. A seguire le richieste più o meno particolari fatte dai vari cittini.

sabato 5 settembre 2009

La Città dei Racconti

Queste righe di seguito le ho scritte qualche anno fa quando ho passato momenti veramente difficili... In quei momenti Siena e la Torre mi hanno aiutato tantissimo... spero che possano essere di vostro gradimento...

Che nervi che ho,
non so' nemmeno il perchè,
forse quest'aria,
questa luce.

La città dei racconti,
quella che non esiste,
che ti fa guarire,
ti aspetta.

Lì tutto è permesso,
si realizza qualsiasi desiderio,
anche quelli che avevi dimenticato,
quelli che avevi lasciato.

Questa città non tua,
t'appartiene,
sei come lei,
ti senti dentro di lei.

venerdì 4 settembre 2009

MA PRATO NON FU SEMPRE GUELFA!

E' innegabile: Prato prese parte alla battaglia di Montaperti... ma dalla parte sbagliata! E vi partecipò con 1.500 fanti, un contributo non piccolo, se si pensa che lo stesso contingente fiorentino non superava le 5.000 unità.
Ma a parziale difesa dei miei concittadini, tengo a precisare che Prato non fu sempre guelfa, anzi! Finchè non si vendette (ahimé, sempre per sottrarsi al giogo fiorentino) ai D'angiò, Prato fu per lunghi tratti caposaldo del ghibellinismo nel centro italia.
Cito dal sito www.pratoartestoria.it:
"Ad una prima fase di predominio ghibellino, durante la quale la città fu spesso sede dei vicari imperiali per la Toscana ed ospitò più volte gli imperatori Arrigo IV ed Ottone IV, successe, con qualche parentesi, un lungo periodo di preponderanza della parte guelfa, alla cui causa in una sfera più ampia, Prato dava intanto un valido apporto di carattere militare, con un impegno cui non erano certo estranee le ragioni di un'accorta politica commerciale che si giovava dell'appoggio dei maggiori comuni schierati nello stesso campo.
Il fattore determinante che faceva di Prato una città guelfa va ricercato nell'importanza che assai per tempo assunsero nella vita cittadina le classi popolari, naturalmente ostili all'Impero ed ai magnati che da quello ritraevano autorità e sostegno. Già nel 1193 al regime aristocratico dei consoli si era sostituito quello podestarile: ma il governo cittadino doveva ancora più democratizzarsi per una costante spinta dal basso di nuove forze sociali. Mentre vivaci fermenti agitavano la società pratese, che dalla fine del XII secolo alla metà del '200 fu tra le più pronte ad accogliere, elaborare e diffondere idee innovatrici spinte fino alla negazione di ogni struttura statale, la classe artigiana organizzata come un vero Stato nello Stato - economicamente nelle Arti, militarmente nelle Società del Popolo - riusciva nel 1240 ad affermare il proprio potere in opposizione alla Società dei Militi che riuniva il patriziato ed alle Arti maggiori dei mercanti e dei giudici, anticipando di anni quell'evoluzione che doveva poi verificarsi anche in altre città. Istituzionalizzato con la creazione della magistratura del Capitano del Popolo, tale ordinamento, pur lasciando ai margini altri strati sociali (peraltro in parte rappresentati dal Consiglio Generale), costituì un sistema dei più avanzati fra quanti mai reggessero una città-stato medievale, assicurando al governo una base popolare insolitamente ampia per l'epoca.
Nell'ultima delle parentesi di predominio ghibellino che dicevamo (1239-1250), Prato tornò ad essere sede del vicariato imperiale per la Toscana, con Pandolfo di Fasanella e Federico di Antiochia, figlio dell'imperatore Federico II di Svevia e appunto vicario con titolo regale per l'intera regione (nel 1241 sarà in città anche Enzo re di Sardegna, altro figlio di Federico II). Certo per volontà del padre il d'Antiochia ingrandisce e trasforma l'antico fortilizio al centro di Prato, per farne sostegno del potere ghibellino, presidio della via fra Germania e regno siculo-napoletano, infine simbolo della maestà dell'Impero: nasce così (ma non sarà terminato per la morte nel 1250 dell'imperatore e il rapido mutare delle sorti politiche) uno dei più splendidi esempi di architettura sveva, frutto di quella cultura federiciana che era nutrita di apporti classici, nordici e saraceni.
Nel 1249, dal castello pratese in costruzione, il d'Antiochia guida alla presa della guelfa Firenze i suoi cavalieri germanici rafforzati da milizie pratesi e da fuorusciti ghibellini toscani: dopo tre giorni di assedio Firenze cede il 2 febbraio ed i guelfi fiorentini sono in fuga. Il d'Antiochia li caccia anche per le campagne e conquista pure Capraia sull'Arno dove una parte di essi si era rifugiata, presso un ramo degli Alberti di Prato passati (fatto singolare) a Parte Guelfa. La spedizione del '49 entrerà probabilmente nel DNA storico dei fiorentini, che vedranno a lungo Prato come una minaccia e cercheranno di ottenere il presidio del temibile castello pratese
.
"

Da quando il fiume è tramutato in ROSSO e c'ho riconosciuto il SANGUE tuo...

4 SETTEMBRE 1260


La lega guelfa comprendeva, oltre a Firenze, Bologna, Prato, Lucca, Orvieto, San Gimignano, San Miniato, Volterra e Colle Val d'Elsa. Il suo esercito si muove di nuovo verso Siena, con la giustificazione della necessità di riconquistare Montepulciano e Montalcino. Per quanto consigliati altrimenti da Tegghiaio Aldobrandi degli Adimari, i comandanti fecero passare l'esercito alle porte di Siena anche perché desiderosi di rivalsa dopo la scaramuccia di maggio e si accampano nelle vicinanze del fiume Arbia, a Montaperti, il 2 settembre 1260. In tale giorno gli ambasciatori guelfi consegnarono un ultimatum al Consiglio dei Ventiquattro, il governo di Siena, che fu respinto, seppure con qualche incertezza di una parte favorevole alla trattativa.
Per meglio motivare i cavalieri tedeschi, fu deliberato di corrispondergli una doppia paga grazie ai fondi forniti da Salimbene de' Salimbeni (la cui famiglia fonderà nel 1472 la banca Monte dei Paschi). Le cronache indicano in trentamila fanti e tremila cavalieri le forze della lega guelfa.
Le forze ghibelline ammontavano a ventimila unità, composte da ottomila fanti senesi, tremila pisani e duemila fanti di re Manfredi. A loro, si aggiungevano i fuorusciti fiorentini, i cortonesi, i ternani, i santafioresi ed i bonizzesi - nonostante in quel momento Poggiobonizio (la futura "Poggibonsi") fosse occupato dai fiorentini - e i cavalieri tedeschi.
Nello stesso giorno, la città, in solenne processione guidata da Buonaguida Lucari, fu dedicata alla Madonna in cambio della sua protezione durante la battaglia. A quel tempo, nella Cattedrale di Siena era conservata sull'altare maggiore la Madonna dagli Occhi Grossi, attualmente esposta presso il Museo dell'Opera del Duomo a Siena.
Il 3 settembre l'esercito senese-ghibellino guidato da Provenzano Salvani uscì da Porta Pispini, diretto al Poggio delle Ropole (l'odierno paese di Taverne d'Arbia), in prossimità dell'accampamento guelfo, che si era spostato nel frattempo sul Poggio delle Cortine da dove poteva controllare i movimenti dei ghibellini. Una leggenda narra che i senesi fecero sfilare il proprio esercito per tre volte davanti all'esercito guelfo, cambiando ogni volta i vestiti con i colori dei terzi di Siena cercando di far credere che le proprie forze fossero tre volte più numerose di quello che fossero in realtà.
La mattina del 4 settembre l'esercito ghibellino, superato il fiume Arbia, si prepara alla battaglia. Era formato da quattro divisioni, che si posizionarono sul campo di battaglia così da tentare una manovra d'accerchiamento.
La prima divisione, guidata dal conte d'Arras, doveva attaccare i guelfi alle spalle al grido d'invocazione di San Giorgio. La seconda, guidata dal conte Giordano d'Anglano, e la terza, guidata da Aldobrandino Aldobrandeschi di Santa Fiora, dovevano impegnare frontalmente l'esercito guelfo, nonostante il sole contrario e la pendenza del terreno. La quarta, comandata da Niccolò da Bigozzi, era posta a guardia del carroccio senese.
Un'altra delle leggende relative alla battaglia, ricorda la figura del cavaliere tedesco Gualtieri d'Astimbergh il quale, avendo il privilegio di attaccare per primo, dopo essersi avvicinato lentamente ai nemici, caricò lancia in resta il capitano dei lucchesi che fu trapassato da parte a parte. Dopo aver recuperato la lancia, uccise altri due cavalieri e poi, persa l'arma, si fece largo tra i nemici con la spada. Nelle prime fasi della battaglia, non solo i fanti guelfi ressero ai primi attacchi dei ghibellini, ma contrattaccarono a loro volta. Questo spinse la quarta divisione di Niccolò da Bigozzi a contravvenire agli ordini e intervenire lasciando la difesa del carroccio senese.
Dopo alterne fasi della battaglia, verso il pomeriggio partì un contrattacco dei ghibellino-senesi.
È in questa fase che si verificò l'episodio di Bocca degli Abati. Questi, seppure al fianco dei guelfi fiorentini a causa di complicati interessi e alleanze, era in realtà di parte ghibellina. Alla vista del contrattacco senese, Bocca si avvicinò al portastendardo fiorentino Jacopo de' Pazzi e gli tranciò di netto la mano che reggeva l'insegna. Questo causò un notevole sconcerto tra le file guelfe. Su quanto questo episodio sia stato importante per l'esito della battaglia, ci sono da secoli opinioni controverse.
Oltre a questo episodio, in questa fase dalle file ghibelline si alzò l'invocazione a San Giorgio, segnale per la prima divisione, quella del conte d'Arras, che attaccò i fiorentini alle spalle. Il conte stesso uccise il comandante generale dei fiorentini Iacopino Rangoni da Modena. È a questo l'inizio della rotta dei guelfo-fiorentini. I ghibellini si lanciarono all'inseguimento e iniziarono "lo strazio e 'l grande scempio che fece l'Arbia colorata in rosso" (Dante, Divina Commedia, Inferno, Canto X, 85) durato fino all'arrivo della notte. Si calcola che le perdite siano ammontate a diecimila morti e quindicimila prigionieri in campo guelfo, di cui 2500 e 1500 fiorentini, e 600 morti e 400 feriti in campo ghibellino.
Solo al calare della notte i comandanti ghibellini diedero l'ordine di salvare la vita di chi si fosse arreso, uccidendo comunque tutti i fiorentini che fossero stati catturati. Questi ultimi, uditi i comandi della parte avversa, cancellarono dai vestiti i segni di riconoscimento e si mescolarono ai loro alleati per aver salva la vita.
Ancora una leggenda racconta della vivandiera Usilia che, da sola, catturò 36 fiorentini salvandogli allo stesso tempo la vita. Il sacco al campo guelfo permise ai ghibellini di catturare quasi diciottomila animali tra cavalli, buoi e animali da soma.
Le bandiere e gli stendardi dei fiorentini furono presi e lo stesso gonfalone di Firenze fu attaccato alla coda di un asino e trascinato nella polvere.
« Lo strazio e 'l grande scempio
che fece l'Arbia colorata in rosso,tal orazion fa far nel nostro tempio. »
(Inferno X, 85)